Incipit: Riparare i viventi









Il cuore di Simon Limbres. Cosa sia questo cuore umano, dall'istante in cui ha cominciato a battere più forte, alla nascita, quando altri cuori là intorno acceleravano a loro volta salutando l'evento, che cosa sia questo cuore, cosa l'abbia fatto balzare, vomitare, crescere, danzare in un valzer leggero come una piuma, o pesare come un macigno, cosa l'abbia stordito, cosa l'abbia fatto struggere -L'amore; che cosa sia il cuore di Simon Limbres, che cosa abbia filtrato, registrato, archiviato, scatola nera di un corpo di vent'anni, nessuno lo sa davvero, soltanto un'immagine in movimento creata da ultrasuoni potrebbe restituirne l'eco, mostrare la gioia che dilata e la tristezza che contrae, solo il tracciato cartaceo di un elettrocardiogramma srotolato dal principio potrebbe segnarne la forma, descriverne la fatica e lo sforzo, l'emozione che pressa, l'energia prodigata per comprimersi quasi centomila volte al giorno e per far circolare fino a cinque litri di sangue al minuto, sì, solo quella linea potrebbe raccontarlo, delinearne la vita, vita di pulsazioni, nel momento in cui il cuore di Simon Limbres, quel cuore umano, proprio quello, sfugge alle macchine, nessuno potrebbe sostenere di conoscerlo, e quella notte - notte senza stelle, un freddo da spaccare le pietre sull'estuario e nel Pays de Caux, mentre un'onda lunga senza riflessi rotolava sulle falesie e la piattaforma continentale indietreggiava svelando striature geologiche -, quel cuore rimandava il ritmo regolare di un organo che si riposa, di un muscolo che lentamente si ricarica - polso probabilmente inferiore a cinquanta battiti al minuto - quando l'allarme di un cellulare è scattato ai piedi di un letto stretto, sul touch screen l'eco di un sonar inscriveva a led luminosi le cifre 05:50, e in quell'istante tutto è precipitato.


Maylis De Kerangal. Riparare i viventi. Feltrinelli. Traduzione di M. Baiocchi con A. Piovanello


Alcuni di quelli che mi leggono scrivono e non solo sui loro blog, tutti leggono. Sapete quindi quanto difficile sia trovare le parole del dolore, scrivere del dolore, sul dolore, dargli una forma ed un contenuto sordo, compatto, pulsante, senza eccedere nelle coloriture, senza scivolare nel pietismo, nel voyerismo. Il compito è ingrato, la china che fa scivolare nel ridicolo è lì, nemmeno un passo, poi è il precipizio. La morte poi è quasi un tabù, non solo per chi scrive, ma per la nostra intera società, rappresenta il dettaglio di una storia, mai il suo cuore.
Maylis De Kerengal invece ne fa il nocciolo del suo narrare, le conferisce forma e contenuto, ammaestra le parole perché si facciano materia, materia viva, paradossalmente, proprio quando della vita raccontano il compimento, l'antitesi. Un coro di voci, di personaggi, anzi no , un coro di uomini e donne, a titolo diverso, partecipa ad una singola tragedia, il racconto di quella notte, non potrebbe essere lo stesso senza la partecipazione di ognuno di loro, De Kerangal, dedica a tracciare le loro figure, poche pagine, per alcuni poche righe, eppure senza uno solo di loro, questa storia non sarebbe più la stessa. Servono i loro "cuori" per raccontare la storia di un cuore, quello di Simon Limbres di venti anni e mai più ventuno.
Riparare i viventi è il più bel libro che abbia letto quest'anno, forse uno dei più belli in assoluto

Commenti

  1. Amanda, non si fa così, perchè, sai, mi fido molto dei tuoi giudizi. Quindi, mi par di capire che dovrò comprarlo... Come farai a convincermi con quattro frasi? Mah...

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    1. Ti dirò solo che solo corsa a comprare "la nascita di un ponte" della stessa Autrice. Ho uno spacciatore di fiducia, da lui quasi sempre titoli ottimi

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  2. Segno e poi sempre eseguo. Finora nessuna delusione ma..mi toccherà uscire di casa per ospitare tutti questi libri.

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  3. Mi fido di te ... e me lo segno (ieri preso l'ultimo di Carlotto, direttamente dalle mani dell'autore).

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    1. ma sai che Carlotto l'ho seguito per un po' poi le nostre strade si sono separate

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  4. forse è una delle cose più difficile parlare del dolore, esprime ciò che abbiamo dentro con le parole giuste, quelle che toccano e narrano il buio che si è andata a creare

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  5. L'incipit l'avevo letto, e l'avevo pure trovato ottimamente scritto, perchè ero curiosa di dargli almeno un'occhiata, ma è stato proprio quel dolore, onestamente, a spaventarmi. Non me la sono sentita di affrontarlo. Prenderò coraggio e rivaluterò la faccenda :)

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  6. Conosco la traduttrice, Maria Baiocchi, una bellissima persona. Questo libro non poteva capitare in mani migliori.

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    1. C'è una nota introduttiva della traduttrice, penso che quell'incipit l'abbia fatta penare

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    2. Eh, gli incipit sono sempre lo scoglio peggiore.

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